Un giornale non si chiude perché oggi vende poco. Il giornale si può ripensare, si può innovare, si può da lui pretendere qualità, chiedere accountability. Insomma, si deve fare tutto il possibile. Lo si deve difendere perché un giornale ci difende. Quando domani avremo bisogno di capire un passaggio cruciale, una crisi internazionale, una legge che ci riguarda o un’inchiesta scomoda scopriremo che quell’«oggetto non più redditizio» era in realtà l’ultimo strumento rimasto tra noi e il buio. Il giornale non è un prodotto ma un bene primario. Oggi il punto non è dividersi tra chi vuole salvare “la carta stampata” e chi punta a idolatrare “il digitale”. C’è una priorità che dovrebbe mettere insieme governi, editori, giornalisti e lettori: proteggere l’ecosistema dell’informazione come proteggeremmo una falda acquifera. E dirlo in una regione come la Sicilia, dove l’emergenza idrica è ormai più che uno spettro, vi assicuro che ha un peso specifico notevole.
Il giornale non è un profumo
Mettiamo subito in chiaro un aspetto: il giornale non è un prodotto ma un’infrastruttura. Trattarlo come un profumo che, se non gira a scaffale, si toglie dal listino, significa confondere il mercato con la democrazia. Un quotidiano è un servizio essenziale: filtra il rumore, ordina i fatti, tiene memoria. Quando chiude una testata, non sparisce solo un marchio: si assottiglia il respiro pubblico, si restringe il campo visivo del Paese, si spegne una luce in quella mappa di presìdi che ci permette di capire dove siamo e dove stiamo andando. Purtroppo nell’era dei social, il rumore di fondo è così alto che manco avvertiamo i timori e i tremori di queste perdite.
La tentazione di cedere alla contabilità è forte. Gli editori lo dicono a gran voce da tempo: la carta costa, le edicole sono meno e la pubblicità migra. Ma quando si decide che un giornale “non conviene” e quindi pazienza, si sta di fatto dicendo che la verità è un bene secondario. Sì, potrò sembrare eccessivo ma così è.
Gli esempi virtuosi
Quella rete che secondo alcuni ha ammazzato la carta stampata, è la stessa che ci permette di conoscere in tempo reale modelli e strutture che oggi possono rappresentare un riferimento. Guardando fuori dai nostri confini arrivano lezioni importanti. Il New York Times, ad esempio, ha capito presto che non bastava «mettere online il giornale»: ha costruito una relazione con i lettori, li ha portati nel suo ecosistema con abbonamenti pensati non solo per le notizie ma per abitudini di vita. E parliamo di giochi, cucina, podcast… e molto altro. Sono stati fatti investimenti incredibili in tecnologia e giornalismo d’inchiesta. Il risultato non è solo un bilancio positivo ma un patto di fiducia rinnovato ogni giorno. In poche parole: quel giornale è percepito come utile.
The Guardian ha scelto la strada più audace: niente paywall, accesso libero, richiesta esplicita di sostegno. «Se puoi, contribuisci». È un patto di trasparenza che ha funzionato perché ha messo al centro la missione e non il prezzo.
E poi c’è il Financial Times, che ha inventato un paywall intelligente quando quasi nessuno ci credeva: paghi non “la carta in pdf”, ma un servizio d’informazione che ti fa prendere decisioni migliori. Modelli diversi, una stessa idea di fondo: il giornale non è una merce replicabile, è un bene relazionale che vive se la comunità lo riconosce come necessario.
Anche in Europa continentale non mancano esempi virtuosi. Dai sostegni pubblici che non comprano l’editoriale del giorno dopo, ma difendono pluralismo, distribuzione e innovazione alle membership e servizi locali ad alto valore. Mettiamocelo bene in testa:
Il giornale esiste se esiste la sua comunità, non il contrario.
Questo non significa che la carta sia un feticcio da museo e il digitale una minaccia. La carta ha la densità del tempo lungo: ti obbliga a fermarti, a confrontarti con la finitezza della pagina, con l’irrevocabilità di un titolo stampato. Il digitale ha la forza della prossimità continua: aggiorna, corregge, connette, apre spazi di servizio e partecipazione che la carta non può offrire. Non sono fratelli in competizione, sono organi diversi dello stesso corpo. Quando lavorano insieme, il giornale respira meglio: inchieste che nascono online e si sedimentano sulla carta; dossier che partono dalla carta e si espandono in database consultabili; newsletter e podcast che preparano alla lettura del weekend. È qui che si vince: nella coreografia tra piattaforme, non nella nostalgia o nell’ansia di rincorrere i click.
«Ma se perde, perché mantenerlo?»
Perché certi beni si sorreggono non per l’utile immediato ma per l’utilità pubblica. Un ponte non si valuta solo dal pedaggio: lo si mantiene perché unisce rive. Un giornale è quel ponte tra fatti e cittadini. Va sostenuto. Come? Penso a politiche pubbliche trasparenti, a fondazioni e filantropia intelligente, ad abbonamenti equi, a partnership educative nelle scuole e nelle biblioteche.
Se fallisce un giornale non fallisce un marchio, una società e basta. Non è un fatto privato. La dimensione è collettiva. L’intervento pubblico non è da temere. Specialmente per i giornali locali, i più esposti ma anche i più indispensabili. Lì si misura la qualità della democrazia. Ho iniziato il mio percorso giornalistico all’interno di un gruppo di lavoro che si occupava delle segnalazioni dei lettori. Una scuola fondamentale per la mia crescita professionale e umana: sanità territoriale, terzo settore, attività sociali, manutenzioni, giustizia di prossimità, imprese, scuole.
Il giornalismo locale
Se il giornalismo a livello locale si spegne è chiaro come il rischio galoppante sia determinato da disinformazione e clientelismo. E non è un caso che molte esperienze straniere abbiano trovato proprio nel locale il terreno del rilancio: consorzi tra testate, cooperative di giornalisti e lettori, redazioni sostenute da università o da reti civiche, modelli non-profit che premiano l’impatto e non la virality di giornata.
Possiamo discutere all’infinito di paywall, membership e bundle ma prima di tutto dobbiamo chiarire una scelta culturale. Se la democrazia è una conversazione adulta, il giornale è la tavola su cui si apparecchia. Possiamo cambiare piatti, posate, mise en place; possiamo cucinare menù nuovi e servire in modi diversi. Ma togliere la tavola perché «oggi non si usa più» non è modernità: è incuria. E l’incuria, lo sappiamo, costa sempre più del restauro.
Qualche link utile per una sana e internazionale riflessione
NYT
- https://s23.q4cdn.com/152113917/files/doc_news/2025/Q1-2025-Earnings-Release-Final-For-Distribution-EkMinJ5V.pdf
- https://s23.q4cdn.com/152113917/files/doc_events/2025/Apr/30/The-New-York-Times-Company-2024-Annual-Report.pdf
- https://www.reuters.com/business/new-york-times-subscriptions-boosted-by-bundling-news-lifestyle-content-2025-08-06/
- https://www.niemanlab.org/2023/11/the-new-york-times-hits-10-million-subscribers-by-using-non-news-products-as-an-on-ramp/
- https://www.axios.com/2025/09/08/nyt-family-subscription-plans
The Guardian
- https://www.theguardian.com/gnm-press-office/2025/sep/11/the-guardian-media-group-publishes-2020425-annual-report
- https://www.theguardian.com/help/insideguardian/2025/mar/06/ad-lite-a-new-product-from-the-guardian
- https://www.theguardian.com/media/2019/feb/20/guardian-supporters-future-journalism
- https://www.theguardian.com/gnm-press-office/2024/sep/17/the-guardian-media-group-publishes-202324-statutory-accounts
- https://www.theguardian.com/help/insideguardian/2025/may/07/app-relaunch
FT
- https://aboutus.ft.com/press_release/financial-times-wins-three-2025-press-awards
- https://aboutus.ft.com/press_release/one-million-digital-subscribers
- https://commercial.ft.com/audience/
- https://www.niemanlab.org/2024/03/dont-expect-help-from-the-disruptors-the-fts-chief-executive-on-ai-loyalist-readers-and-its-u-s-expansion/