Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan è culminato nell’agosto del 2021 con il ritorno al potere dei talebani. Abbiamo assistito all’evacuazione frettolosa e imbarazzante dell’Occidente, all’abbandono di un Paese a un movimento che per anni era stato combattuto e demonizzato. A distanza di quattro anni ciò che appare chiaro è che un vuoto di potere non resta mai tale: viene subito colmato da chi ha la forza, l’organizzazione e l’ideologia per farlo, anche a costo di peggiorare la vita della popolazione civile.
Guardando su RaiPlay una serie da poco caricata che si intitola Kabul, ho avvertito la necessità di mettere nero su bianco un parallelismo che a molti potrà apparire forzato.
A Gaza la dinamica rischia di assumere contorni simili. Hamas, come i talebani, non è solo un’organizzazione militare ma un soggetto politico che si radica nel tessuto sociale attraverso il controllo dei servizi, della narrazione e della paura. L’ipotesi di un ritiro o di una riduzione drastica della presenza militare israeliana – senza un piano chiaro per il dopo – potrebbe riprodurre lo scenario afgano: un vuoto di governance in cui a imporsi non sarebbero forze moderate o costruttive, ma la componente più radicale.
Il rischio è duplice.
Da un lato c’è la possibilità non troppo remota che la popolazione civile resti intrappolata tra macerie e autoritarismo, senza alternative né speranza. Dall’altro, che la comunità internazionale si illuda di aver “chiuso un fronte”, salvo poi ritrovarselo più minaccioso e instabile di prima. Proprio come accaduto con l’Afghanistan da cui il terrorismo globale ha continuato a proiettare ombre ben oltre i confini nazionali.
La lezione è amara ma chiara: abbandonare un territorio senza costruire un tessuto politico, civile ed economico capace di reggere alla prova del tempo significa solo rimandare il problema.
Gaza, come Kabul, rischia di diventare l’emblema di una miopia geopolitica, che dobbiamo dire sembra essere tipicamente occidentale, che scambia l’urgenza di “uscire” con l’illusione di aver risolto.
E proprio per questo motivo non dovremmo abbandonare e isolare Israele. La questione Hamas riguarda tutti. Bisogna, come ho già detto più volte in passato, coordinare un’azione concreta per ristabilire la pace ma soprattutto dare stabilità a un territorio che rischia di trasformarsi in un cuscinetto esplosivo.