Fino a qualche tempo fa quando sentivo parlare di KPI (Key Performance Indicators) mi giravo dall’altra parte… «roba da marketing». Eppure questo magico acronimo in un futuro non troppo lontano potrebbe aiutare anche noi giornalisti…
Attenzione: so bene che è roba che scotta. Un tema fin troppo delicato per la mia categoria. Tra le prime a condannare l’AI pur facendone in molti casi, e soprattutto nelle piccole realtà, un (ab)uso continuo e quotidiano. Insomma i giornalisti sono i primi a mettere in atto la famigerata Shadow AI… Invito sull’argomento a vedere un interessante video dell’ottimo Francesco Facchini.
Tornando a Kpi e numeri… non penso gli indicatori di performance siano uno strumento che serva a giudicare la qualità di un prodotto giornalistico. Questo per una serie di variabili che non sto qui ad elencare. Ma in alcune situazioni avere Kpi di riferimento… beh, questo sì che potrà fare la differenza. Per chi lavora sul web, esempi di KPI potrebbero essere:
– Letture e tempo di permanenza
– Interazioni e condivisioni
– Impatto sociale
Sono parametri che ci possono aiutare a comprendere se una notizia viene davvero seguita, ci segnalano se un contenuto genera conversazione e valore e se le nostre inchieste aprono dibattiti o portano a cambiamenti concreti. Quest’ultimo è forse il KPI più importante, anche se meno immediato da misurare.
Sia chiaro: un giornalista non deve inseguire i click ma può usare i KPI come bussola: per capire cosa funziona, cosa interessa e come migliorare il rapporto con i lettori. Guai a paragonare il KPI a un voto sulla qualità del proprio lavoro. Preferisco considerarlo più come uno specchio. Sta a noi decidere come guardarci dentro 😊
E voi che ne pensate?
