Ci prova. Ce la mette tutta. Ma nulla da fare: Palermo rimane identica a se stessa. Cambiano governi, facce e facciate ma non la sostanza. Perché Palermo resta sporca, disorganizzata e disobbediente. Incivile e prepotente, ingombrante e pesante da digerire. Perché quando parliamo di Palermo non possiamo non considerare la sua essenza: i palermitani. Una genia unica, differente dal resto dei siciliani per definizione. Una genia che si è sempre servita nel tempo di pretesti, di alibi e, soprattutto, di capri espiatori per sopravvivere a se stessa.

Fino a qualche tempo fa c’era un parafulmine immenso a Palermo. Si chiamava Leoluca Orlando. Il sindaco che per decenni ha tenuto in mano sorti ed elargito visioni di quella mai veramente nata Capitale del Mediterraneo. Ma più che un parafulmine, Leoluca Orlando era diventato il capro espiatorio ed emissario per antonomasia. Per meglio comprendere questa metafora, è bene fare un accenno alla tradizione ebraica.

Il “giorno dell’espiazione”

Nel giorno di Yom Kippur, ovvero il “giorno dell’espiazione”, la comunità degli israeliti offriva due capri da sacrificare nel Tempio. Il primo era immolato nei pressi dell’altare dei sacrifici. Il suo sangue era utilizzato per purificare il tempio e l’altare profanati dai peccati degli Israeliti. Il sommo sacerdote, poi, poneva le sue mani sulla testa del secondo capro e confessava i peccati del popolo di Israele. Il capro veniva quindi condotto in un’area desertica a circa dodici chilometri da Gerusalemme, dove secondo la tradizione rabbinica veniva precipitato da una rupe . Il primo capro è detto “espiatorio” e il secondo “emissario”.

Il sindaco sacrificale

I palermitani addossano sempre su altri le proprie responsabilità. Lo fanno immolando di volta in volta il capro di turno, che ora è espiatorio, ora emissario. Un rito per purificarsi, per liberarsi dai peccati. La dimensione della redenzione, in una terra irredimibile, è parte fondamentale nell’esistenza di un individuo. Forse ne segna la stessa essenza. Tutto questo declinato alle nostre latitudini significa che poco importa se il palermitano continua a fissare il dito e non la luna. Lui è santo per elezione, non per chiamata. E non è chiamato a nessuna responsabilità: Palermo per lui è sporca anche se è lui che continua a sporcarla. Palermo ha un traffico caotico anche se è lui che continua a parcheggiare in doppia fila o blocca il transito ad altre auto. Palermo è tutto fuorché le sue responsabilità, quelle del Palermitano. Perché il palermitano è il migliore fra tutti. Sa rendersi simile agli altri, ma mai inferiore a nessuno.

L’essenziale

Prendetemi, adesso, pure per pazzo. Ma non smetterò mai, nemmeno per un istante, di amare Palermo. La mia città. Quella Palermo che è nascosta dalla sporcizia, dalla disorganizzazione, dall’inciviltà, dalla prepotenza. Quella Palermo che scorre silenziosa e supera indenne i tumulti delle dominazioni, delle sopraffazioni, dell’ignoranza, della tirannia e delle superstizioni. Perché in questa Palermo invisibile c’è tutta la sua bellezza. La sua vera anima. Palermo, anche se invisibile, è bella per chi la ama. Perché, come scrive Antoine de SaintExupéry nel Piccolo Principe, l’essenziale è invisibile agli occhi.

foto di Nat Aggiato da Pixabay

By Giovanni Villino

Giornalista professionista e siciliano creativo. Supervisore editoriale e vicecoordinatore di redazione di Tgs, Telegiornale di Sicilia. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism.

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