Ci commuovono, ci fanno arrabbiare e indignare. E ci consentono di fare un post ben visibile e apprezzato dai nostri contatti. Ovviamente non è roba che puoi immaginare di trattare ogni giorno. Pensa che noia dovere dare in pasto ai propri follower sempre la stessa solfa.

Sì, perché i viaggi dei migranti, romanticamente definiti della Speranza, la loro fuga dall’orrore e dalla violenza, sono oggetto appetitoso per i social, oltre che di scontro.

Ma le morti in mare sono cosa dura. E questi argomenti, si sa, naufragano su timeline e newsfeed, così come nelle homepage dei siti, con la stessa velocità con cui si scrolla lo schermo sul telefonino e si passa al post o al reel successivo.

Alle volte ne basta un morto ben fotografato, specie se bambino, o mille sapientemente raccontati e il gioco della temporanea emozione di massa si solleva come l’onda che ha capovolto il barcone. Ma dopo il suo passaggio non resta nulla. L’opinione pubblica è sempre più debole. E sempre meno influente, perché meno consapevole. E le sue temporanee pseudo-ribellioni e indignazioni sono solletico per chi ci governa.

Questa estate, nel mare di Palermo, con le mie figlie abbiamo provato l’ebbrezza dell’acqua “dove non si tocca”. La più piccola a un certo punto ha iniziato ad annaspare. Presa dal panico, è finita sotto agitandosi. L’ho tirata su e nei suoi occhi rossi, bruciati dalla salsedine e dalle lacrime, ho visto il terrore di non riuscire più a riemergere, a respirare.

Mi si è stretto il cuore. E con la stessa forza ho stretto lei a me per consolarla. Ecco, in quel momento ho pensato alle migliaia di bambine e bambini, di donne e di uomini che, in una notte senza luce o in mezzo a un mare infuriato, sono finiti sotto. Hanno sentito il loro respiro venire meno e l’unico abbraccio che hanno ricevuto è stato quello della morte.

La tragedia delle centinaia di migliaia di naufragi di migranti – chissà quanti ne ignoriamo – pesa come un macigno sulle coscienze di un’Europa e di un mondo che è sempre più distante dalla parola umanità e da quelle periferie che oggi chiedono aiuto. Probabilmente domani sarà la storia con la sua nemesi a sancire l’equilibrio, la giustizia tra i popoli.

By Giovanni Villino

Giornalista professionista e siciliano creativo. Supervisore editoriale e vicecoordinatore di redazione di Tgs, Telegiornale di Sicilia. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism.

2 thoughts on “La moda dei naufragi”
  1. Riflessivo… Ma tutti sti inglesismi tasci lasciamoli agli inglesi. La nostra bella lingua italiana Valorizziamola 😉

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