Sono, da sempre, contro ogni forma di guerra. Lo sono per formazione, per etica, per rispetto dell’umanità. Obiettore di coscienza e convinto sostenitore della non-violenza, credo che l’unica via possibile per la convivenza tra i popoli sia la pace. Una pace difficile, spesso lontana, talvolta ridotta a parola svuotata. Ma è e resta l’unica direzione da percorrere.

E proprio in nome della pace sento il bisogno di condividere una riflessione che mi sta accompagnando da settimane, osservando le immagini, leggendo le notizie, ascoltando i commenti su ciò che accade in Medio Oriente. Un pensiero che nasce da un disagio sottile, eppure crescente.

Sta dilagando – in modo sempre meno mascherato – un sentimento anti-Israele che si insinua tra le pieghe di ragionamenti in apparenza pacati, analitici, persino colti. Ma la premessa è spesso ingannevole: si parte dal rifiuto della violenza e si finisce col giustificare l’odio verso uno Stato. Un odio che non ha nulla a che vedere con il diritto alla critica politica, che è legittimo, necessario, doveroso in democrazia.

C’è però anche una domanda che mi tormenta.

Davvero possiamo pensare che Israele, con tutta la pressione dell’opinione pubblica mondiale addosso, con le telecamere costantemente puntate, possa agire colpendo deliberatamente obiettivi civili senza alcuna ragione? Sarebbe un suicidio strategico. Sarebbe un atto privo di logica. Eppure questa è l’immagine che spesso ci viene proposta… come se ci fosse una volontà cieca di seminare distruzione senza una finalità, come se Israele agisse fuori da ogni razionalità politica o militare.

Ma cosa viene realmente colpito? E, soprattutto, da chi ci giungono le informazioni?

Spesso le fonti principali sono i media locali che, occorre ricordare, operano in contesti estremamente complessi dove la libertà di stampa è filtrata, condizionata, indirizzata. Questo non significa negare i fatti, né minimizzare le sofferenze. Tutt’altro. Significa, invece, esercitare un minimo di prudenza, di onestà intellettuale, nel domandarci cosa vediamo, come lo vediamo e attraverso chi.

L’informazione, specie nei conflitti, non è mai neutrale. È costruita, raccontata, veicolata secondo narrazioni che rispondono a interessi, ideologie, necessità tattiche. E allora la domanda è: siamo davvero certi di vedere tutto? E nel modo giusto?

La pace, se la vogliamo davvero, inizia anche da qui: dalla fatica del discernimento, dal rifiuto della propaganda, da una parola che non infiammi ma illumini. Anche quando fa male.

By Giovanni Villino

Giornalista professionista e siciliano creativo. Redattore del Giornale di Sicilia on line. Già supervisore editoriale e vicecoordinatore di redazione di Tgs, Telegiornale di Sicilia. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism.

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