9 maggio 1978. La notte di Aldo Moro, la notte di Peppino Impastato. La notte dello Stato. Pensare, ricordare. E ancora pensare, per non dimenticare. Un mantra. O, meglio ancora, un imperativo categorico. Un dovere civile, un esercizio di volontà in un mondo di rappresentazioni. Ogni nove maggio penso alla notte di Peppino Impastato e di Aldo Moro.

Da una parte c’è l’attivista siciliano che aveva fondato Radio Aut, emittente libera e autofinanziata in cui sbeffeggiava e denunciava crimini e attività di Cosa Nostra. E non era cosa facile. Specie per chi era nato in una famiglia che faceva i conti con il cognato del padre, il boss Cesare Manzella, poi ucciso nel 1963. Il giovane Peppino a 15 anni ruppe i rapporti con il genitore e venne cacciato di casa. Sin da ragazzo avviò un’intensa attività politica e culturale incentrata sull’antimafia. Nel 1965 fondò il giornalino L’idea socialista e aderì al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Dal 1968 il suo attivismo lo portò in prima linea nelle battaglie dei disoccupati e dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, nel territorio di Cinisi.

Dall’altra c’è Aldo Moro, tra i fondatori della Democrazia cristiana e suo rappresentante alla Costituente, ne divenne segretario nel 1959. Fu più volte ministro e come presidente del Consiglio guidò diversi governi di centro-sinistra (1963-68), promovendo tra il 1974 e il 1976 la cosiddetta strategia dell’attenzione verso il Partito comunista attraverso il compromesso storico. Questo determinò la nascita del Governo Andreotti III, definito il governo della non-sfiducia, in cui il PCI garantiva l’astensione.

Il 9 maggio del 1978 è stata una delle notti più buie della Repubblica Italiana. Ma è stata anche la notte in cui due uomini distanti politicamente, socialmente e geograficamente hanno rivolto il loro ultimo sguardo al cielo. Per uno il soffitto di un appartamento, per l’altro la volta celeste sul Palermitano.

Distanze abissali. E per entrambi il punto di vista era il fondo di un pozzo. Lontani, soli. In un tunnel verticale erano consapevoli della sorte che da lì a poco avrebbe preso forma.

Sopra di loro un cielo che pesava come piombo. In quelle ore l’oscurità prendeva spazio. Ma c’era una luce. Anzi l’unica stella polare in una notte che non avrebbe visto alba era presente, per entrambi. Ed era era dentro di loro. Una luce era fatta di ideali, quegli stessi ideali che hanno guidato ogni loro azione.

Oggi il buio domina nell’apparente “scintillare” di mille parole. Una sconfinata prateria di dichiarazioni vuote. Donne e uomini che ricoprono ruoli di potere che sono solo riflessi sbiaditi di un tempo privo di ideali, di pensiero e azione.

By Giovanni Villino

Giornalista professionista e siciliano creativo. Supervisore editoriale e vicecoordinatore di redazione di Tgs, Telegiornale di Sicilia. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism.

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