Trent’anni fa a Palermo veniva ucciso Libero Grassi. Il 29 agosto del 1991, alle 7.40 di mattina, in via Vittorio Alfieri, Grassi veniva freddato con quattro colpi di pistola. Stava andando a piedi al lavoro. Oggi, vigilia di quel drammatico giorno, ho incontrato Alice Grassi, la figlia di Libero. Un’intervista andata in onda nel corso del notiziario di Tgs. Abbiamo fatto il punto sulle manifestazioni in programma domani ma abbiamo anche parlato della città e del carattere di irredimibilità di questa Isola. Nel corso della chiacchierata ho voluto approfondire anche un aspetto: la lapide di Libero Grassi.

Grassi, Libero di nome e di fatto

Libero Grassi nasce a Catania il 19 luglio 1924, in una famiglia antifascista, poco più di un mese dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, ed è chiamato così proprio in memoria del deputato  socialista ucciso dai fascisti per essersi opposto a Benito Mussolini. All’inizio degli anni ottanta viene preso di mira da Cosa Nostra con la pretesa di pagamento del pizzo, che la criminalità organizzata estorce a moltissimi commercianti siciliani. Libero Grassi ha il coraggio di opporsi alle richieste di racket della mafia e di uscire allo scoperto, con grande esposizione mediatica. Nel gennaio 1991 il Giornale di Sicilia pubblica una sua lettera sul rifiuto di cedere ai ricatti della mafia:

«Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e  ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui».

L’11 aprile 1991 Libero Grassi è ospite di Samarcanda, la trasmissione condotta da Michele Santoro su Rai Tre, dove cerca di spiegare la sua posizione:

«Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia di dignità di imprenditore».

Perché non c’è una lapide di Libero Grassi a Palermo?

La risposta a questa domanda me l’ha data la figlia di Libero, Alice. E’ lei, infatti, che da trent’anni scrive a mano su quel cartellone che viene posto sul luogo dell’assassinio. Un foglio che dà fastidio. Al punto che ogni anno viene ridotto a brandelli. Ma riscrivere quel foglio per Alice è un esercizio di memoria importante: “Di lapidi a Palermo ce ne sono tante – afferma Alice -. Alle volte ci si abitua anche alla loro presenza. In una lapide poi non è possibile scrivere tutto quello che in un foglio come questo può essere scritto”. Ed è così che anche domani, come avviene ormai da trent’anni, Alice sistemerà su quel muro la lapide di carta. Quella che ancora oggi si fa notare, si fa strappare. Perché dà fastidio. E ieri come oggi, è bene ribadire la memoria. Anche attraverso questa laica liturgia.

By Giovanni Villino

Giornalista professionista e siciliano creativo. Supervisore editoriale e vicecoordinatore di redazione di Tgs, Telegiornale di Sicilia. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism.

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