Ci sono giorni in cui mi sento come trascinato, scaraventato fuori dal tempo in cui vivo. Una dimensione che attiva tante consapevolezze sul tempo pur nell’assenza di aderenza al tempo stesso.

Anni fa leggevo, forse distrattamente, un elaborato su Ibsen, drammaturgo scandinavo. Non sono un critico teatrale o letterario, ma di quella lettura mi è rimasto impresso il concetto di coscienza scissa, alienata. Estraniata di fronte alle contraddizioni del tempo in cui si vive. Secondo Ibsen, per tirarsi fuori da questa falsità, occorre attenersi al vero, recuperando la propria vita. Ovviamente il “vero” è roba assai complessa e solo il dialogo con l’altro ci può aiutare nel percorso che ci conduce a una possibilità: renderci veri e rendere vero il mondo.

Ed è proprio il dialogo che oggi manca. Se ci pensiamo bene, i social hanno ampliato le nostre relazioni, amplificandole però in senso mono direzionale. Ognuno condivide, quasi nessuno dialoga. Questo perché uno dei capisaldi del dialogo è, inevitabilmente, la presenza, l’esserci. Il dialogo non è solo parola ma gesti, prossemica, contatto.

E così accade che l’apparente consapevolezza sul nostro tempo passi esclusivamente attraverso il flusso del trending topic. Dagli argomenti di tendenza. Come fuochi d’artificio esplodono nelle home page dei quotidiani, in testa ai post e ai video sui social. Il tutto avvolto dal turbinio isterico di condivisioni.

Ci avviamo a concludere un anno nero sul fronte delle guerre in corso nel mondo. Quasi sessanta, un record dal 1945. Un centinaio di nazioni ha aumentato le spese militari. Oltre novanta sono i paesi coinvolti in qualche forma di guerra verso l’esterno. Eppure tutto questo scivola via nell’indifferenza globale. Così come il dramma delle migrazioni che si consuma con centinaia, e in alcuni casi anche migliaia, di morti al mese.

Ripenso alle urla e alle gesta scomposte, e alle volte pure insulse nelle modalità, degli attivisti per il clima e per l’ambiente e mi fa star male il silenzio che soffoca un altro attivismo, quello per l’essere umano.

Spero che allo stato di consapevolezza sulle contraddizioni del nostro tempo ci si arrivi attraverso virtù o non necessità. Oggi la parola “guerra” la digitiamo con leggerezza sul display del nostro telefonino mentre, a non troppi chilometri da noi, la parola guerra è invece segnata sull’asfalto dal rivolo di sangue che viene fuori da un corpo dilaniato.

Franco Battiato ha lasciato traccia di questo stato d’animo che si agita in me con una splendida canzone che vi invito ad ascoltare.

Come un cammello in una grondaia

Vivo come un cammello in una grondaia
In questa illustre ed onorata società
E ancora sto aspettando
Un’ottima occasione
Per acquistare un paio d’ali
E abbandonare il pianeta

E cosa devono vedere ancora gli occhi e sopportare?
I demoni feroci che fingono di pregare
Eppure lo so bene
Che dietro a ogni violenza esiste il male
Se fossi un po’ più furbo
Non mi lascerei tentare

Come piombo pesa il cielo questa notte
Quante pene e inutili dolori

Foto di Jaesung An da Pixabay

By Giovanni Villino

Giornalista professionista e siciliano creativo. Supervisore editoriale e vicecoordinatore di redazione di Tgs, Telegiornale di Sicilia. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism.

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