Le parole di Papa Leone anche questa volta mi colpiscono, da cristiano e, ancor prima, da giornalista. E mi colpiscono in modo particolare perché centrano alcuni punti cruciali su un ambito fondamentale per le democrazie di tutto il mondo. Si parla, infatti, di libertà di informazione e giornalismo indipendente. L’ultimo intervento non si può definire come semplice incoraggiamento alla Stampa. Sarebbe riduttivo. Il Pontefice cerca, infatti, di andare oltre. Siamo di fronte a un invito collettivo alla memoria e all’impegno. Una democrazia che dimentica di difendere la libertà di informazione, dimentica sé stessa. E l’urgenza è chiara: occorre restituire al giornalismo la sua funzione centrale come argine alla post-verità. Il giornalismo è motore di cittadinanza. Ma deve anche saper rimanere in equilibrio nell’utilizzo degli strumenti digitali. Questo significa non lasciarsi soggiogare da algoritmi opachi o logiche di engagement. Tentazioni serie.

Leone XIV ha ricevuto oggi, giovedì 9 ottobre, i partecipanti alla 39ª Conferenza dell’Associazione MINDS International ricordando che “l’informazione è un bene pubblico” da tutelare. Esortando a non dimenticare i reporter in zone di conflitto, “vittime dell’ideologia della guerra” e chiedendo la liberazione di quelli imprigionati e perseguitati: se oggi sappiamo cosa è successo a Gaza e in Ucraina lo dobbiamo a loro. Monito contro il proliferare dell’informazione “spazzatura” e la tecnologia che non deve mai sostituirsi all’uomo.

Difendere il diritto all’informazione oggi significa reclamare il diritto di ogni cittadino a conoscere, capire e, quindi, scegliere. C’è un passaggio nelle parole di Papa Leone che dovrebbe risuonare come un monito in ogni redazione e anche in ogni istituzione democratica: «L’informazione libera è un pilastro che sorregge la costruzione delle nostre società e, per questo, siamo chiamati a difenderla e garantirla». Senza libertà di stampa non c’è una democrazia vera e autentica. Invece questo pilastro è oggi sotto attacco. E questo non sempre è ad opera di regimi espliciti. Ci sono anche dinamiche sottili che erodono dall’interno il pluralismo mediatico.

L’oblio delle “democrazie formali”

Ci sono diversi Stati che si dichiarano democratici ma che sembrano aver dimenticato che il giornalismo indipendente è condizione essenziale della libertà. Lo vediamo quando si criminalizza l’informazione (e dalla fine della Prima Repubblica in poi abbiamo assistito all’inverosimile), si intimidisce un cronista (la famigerata querela temeraria) o si introduce la “legge bavaglio” del momento. Fare giornalismo, come ci ricorda il Papa, non è un crimine ma è una verità che va ribadita. Non dimentichiamo che nel mondo e, a volte anche a pochi passi da casa nostra ci sono ancora giornalisti perseguitati per il loro lavoro.

Nel vortice del sensazionalismo digitale la post-verità si è trasformata in uno strumento di potere sottile e pervasivo. Non serve più negare la realtà: basta sommergerla. La verità non viene più contestata apertamente. Il meccanismo è perverso ma semplice: basta soffocare la verità con un flusso continuo di parole, immagini e opinioni che la rendono indistinguibile dal falso. In pratica è il trionfo del rumore sull’informazione e dell’impressione sul contenuto. Ogni notizia diventa una competizione per attirare l’attenzione e non per illuminare la coscienza civile. E così c’è una lenta e inesorabile sovrapposizione e sostituzione: c’è l’approssimazione che prende il posto dell’analisi, la fretta che sostituisce la verifica e la disinformazione che si insinua non come menzogna evidente ma come distorsione accettabile, come “punto di vista”.

In questo scenario la manipolazione non ha più bisogno di censura perché la verità si dissolve nella moltiplicazione infinita delle versioni. E quando tutto appare ugualmente vero, o ugualmente falso (a seconda della prospettiva o realtà) allora la verità smette di contare.

Le agenzie stampa come presidio contro la disinformazione

Papa Leone ha indicato le agenzie di stampa come un baluardo contro la post-verità ma in quelle parole c’è anche un riconoscimento implicito a una categoria spesso dimenticata: i giornalisti che una volta ho sentito definire da un fotoreporter come i “senza volto”. Sono i cronisti delle agenzie a costruire ogni giorno la struttura invisibile su cui si regge il sistema dell’informazione. Non appaiono nei talk show, non firmano editoriali e non raccolgono applausi. Lavorano chinati sui fatti e lontano dai riflettori. Il loro nome raramente compare in sovrimpressione eppure da quel lavoro silenzioso nasce la materia prima che alimenta ogni telegiornale, quotidiano e sito di notizie. È un mestiere di rigore, di pazienza e di anonima dedizione. Un mestiere che resiste alla spettacolarizzazione della notizia e alla tentazione del protagonismo. Chi lavora in un’agenzia sa che non basta “essere i primi” ma occorre essere i più affidabili, perché la credibilità è la loro unica moneta di scambio.

In un tempo in cui la comunicazione è continua e la verità sembra liquida, le agenzie sono l’ultimo argine alla superficialità. Sono loro a mantenere viva la disciplina della verifica, la prudenza della doppia fonte, la sobrietà del linguaggio. In un ecosistema dominato dal click bait e dall’ossessione per la visibilità, questi professionisti scelgono l’invisibilità. Preferiscono restare dietro le quinte, dove la notizia si costruisce, non dove si consuma. È un lavoro che difende la sostanza dell’informazione: precisione, responsabilità e rispetto per i fatti. In un’epoca di rumore digitale, il loro silenzio operativo è un atto di resistenza.
E forse, come suggerisce Papa Leone, proprio lì, in quella dedizione senza ribalta, si nasconde la forma più pura e necessaria di giornalismo.

Etica e algoritmi

Il Papa metteva in guardia: «Non siamo destinati a vivere in un mondo dove la verità non è più distinguibile dalla finzione». Stiamo entrando in un’era in cui gli algoritmi dell’informazione determinano cosa vediamo sui feed, sui motori di ricerca e nelle piattaforme digitali. L’intelligenza artificiale non è neutra: le sue logiche dipendono da chi la controlla. È essenziale pretenderne trasparenza e responsabilità. Se l’informazione è nelle mani di pochi algoritmi, rischiamo di consegnare il destino della verità a modelli opachi. Il giornalismo deve riaffermare la centralità dell’uomo, della responsabilità, dell’etica.

Un appello urgente: non svendete l’autorevolezza

«Non svendete mai la vostra autorevolezza», ha detto il Papa. Non è un mantra poetico, ma un imperativo. L’autorevolezza del giornalista è ciò che lo distingue da un influencer. Ciò che protegge la fiducia del lettore. In un ambiente digitale che premia l’immediato difendere la qualità costa fatica. Ma è proprio con questa fatica che si salva la democrazia.

By Giovanni Villino

Giornalista professionista con un’anima tech e una vocazione per l’innovazione nei media. Laureato in Filosofia, da oltre vent’anni lavora nel mondo dell’informazione, raccontando la società e i suoi cambiamenti con attenzione al linguaggio e alle nuove tecnologie. Redattore del Giornale di Sicilia on line. Già supervisore editoriale e vicecoordinatore di redazione di Tgs, Telegiornale di Sicilia.

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